Nei giorni scorsi mi è capitato tra le mani un libro che mi ero ripromesso di leggere da parecchio tempo: “Sergiu Celibidache, scrisori către Eugen Trancu-Iaşi”[1]. Il volume raccoglie le lettere inviate nel corso di quarant’anni (dal 1939 al ’79) dal grande direttore d’orchestra romeno all’amico di gioventù Eugen Trancu-Iaşi e una corposa addenda che include varie testimonianze sugli anni romeni del maestro.
Su Sergiu Celibidache si è scritto e detto moltissimo. Gli aneddoti attorno al suo ossessivo perfezionismo, le polemiche sferzanti con i colleghi, l’avversione verso le incisioni discografiche o l’intransigenza caratteriale nel bene e nel male ne accompagnano immancabilmente il ricordo. Come dire, agiografia e maldicenza sono gli esiti scontati della biografia del genio e questo volume lo conferma ampiamente. Meno noti, anzi sconosciuti, sono gli albori musicali di Celibidache nella Bucarest interbellica. Il libro di Trancu-Iaşi permette di abbozzare una parzialmente ricostruzione degli anni “romeni” del maestro, offrendo dei dettagli a volte sorprendenti. Celibidache era di Roman, come Max Blecher e mia suocera, una cittadina di provincia colta ma distante dall’agitazione intellettuale bucarestina. Una volta giunto nella capitale, questo giovane dall’aspetto singolare bazzica nei caffè di Calea Victoriei, tira a far tardi con tutti i ribelli della musica, dell’arte, della letteratura e con loro sogna e progetta nuovi orizzonti. Sete di gloria ma anche fame vera, per vivere Celibidache di giorno suona il pianoforte nella scuola di danza del suo primo grande amore: Iris Barbura, ballerina espressionista nata ad Arad nel 1912, formata alla scuola di Vera Karalli negli anni ’30, suicida a Ithaca nel 1969. Di notte si esibisce improvvisando jazz al caffè Atlantis e in altre bettole. Ha talento e un impresario lo vorrebbe ingaggiare per un’orchestrina di musica leggera al grand hotel La Fayette. Rifiuta. I soldi non contano, a lui interessa il jazz. In questa musica scopre un punto di partenza verso composizioni più complesse. “Celibidache – come ricorda l’amico Petru Comarnescu [2] – possedeva qualcosa in più rispetto ai giovani snob della capitale. Dalle sue discussioni si comprendeva immediatamente come affrontava le formule di composizione jazzistiche. Era ossessionato da melodie che improvvisava in stile hot, per poi svilupparle in polifonia”. Parecchi anni dopo qualcuno ricorderà ancora le sue performance a Balcic sul Mar Nero nell’osteria del turco Mahmut, il covo estivo della vivace e squattrinata bohème bucarestina: “Nella taverna ci avvolgevano delle strane melodie jazz. Al piano malandato suonava un giovane compositore, silenzioso, elegante e sobrio, caro a tutti gli artisti di Balcic. Si chiamava Sergiu Celibidache”[3] . “Suonava il piano usando molto il pedale, colpendo con con forza i tasti, creando effetti che miravano a strabigliare l’ascoltatore”[4] . Le radici del jazz per lui allignavano nella musica di Bach e riusciva a dimostralo nelle notti trascorse a pigiare i tasti dei più scassati pianoforti delle bettole di Bucarest. È ancora Petru Comarnescu a fornire dettagli sull’esperienza jazzistica del futuro direttore d’orchestra: “Sono diventato amico di Celibidache grazie al jazz colto che entrambi ammiravamo, poi Johann Sebastian Bach avrebbe ben presto cementato ed elevato questa amicizia e la nostra stima reciproca. […] Mi aveva raccontato che un giorno, mentre passeggiava per Iasi, canticchiando una melodia jazz semisconosciuta, un signore inglese o americano gli chiese come faceva a conoscere quel pezzo, per niente noto, ma di grande fattura artistica. Di fatto non era un pezzo ma un’armonizzazione in stile hot che riproduceva il gusto del tempo. Ma più di tutte le nuove armonie, dei brani che mi suonava e commentava, fu la lettera di Duke Elligton a rilevarmi la competenza musicale di Sergiu. Aveva composto un pezzo jazz e lo aveva inviato a New York al Duca”. Ellington gli rispose: non solo era rimasto colpito dalle sue intuizioni musicali, ma gli sarebbe addirittura piaciuto sperimentarle in qualche nuovo pezzo. “Si trattava una composizione che partiva dal jazz e arrivava a Johann Sebastian Bach. Era qualcosa di insolito che mi faceva pensare molto. Ogni volta che incontravo Sergiu Celibidache comprendevo che il jazz per lui era solo un punto di partenza, si preoccupava continuamente dei problemi della musica polifonica, della grande arte della sinfonia cui voleva apportare nuove espressioni e modalità”.
Della passione jazzistica di Celibidache dovrebbe esistere addirittura un disco. In una lettera spedita nel febbraio 1941 da Berlino all’amico Ginel Trancu-Iaşi si legge: “Qui tutto va bene. Musica perfetto. Ti ho inciso un disco, te lo spedirò alla prima occasione. Non so che ne farai è assolutamente strampalato”. In nota il destinatario della missiva precisa: “Si tratta del primo disco inciso da Sergiu Celibidache . Conteneva dei ritratti musicali a ritmo di jazz composti per i suoi amici”. Il disco è menzionato anche nell’articolo già citato di Petru Cormanescu: “Ho sentito che ha composto una serie di “ritratti musicali” , in cui rappresentava noi, gli amici romeni, Iris Barbura, me e gli altri. Mi hanno detto che sono eccezionali. Non li ho ascoltati, anche se, a quanto pare, li ha pubblicati su un disco che avrei dovuto ricevere”. Lo stesso Celibidache ritornerà su queste composizioni in una lettera del 1945 (quindi a quattro anni dall’incisione del disco): “desidero, prima di tutto, rivelarti un segreto di cui ti prego di non farne alcun uso. I miei Dummenlieder non si riferiscono a nessuno, non sono scritti con l’intenzione di fare delle caricature o di metter in note personalità oppure qualità spirituali. Attraverso le mie domande ho solo tentato di fissare la fantasia di chi ascolta. Non c’è nessun personaggio. Li ho inviati solo con l’intento di abituare il vostro udito a materiale un po’ più astratto. Come un’arte visiva che non cerca parole per esprimersi, anzi proviene dall’esterno, dalla sfera in cui gli uomini non possono più implicarsi e intervenire. Rispetto alla musica, Ginel, devi imparare solo una cosa. La musica è un’arte con leggi proprie: Eigen Gesetzmäßigkeit. Chi non conosce le leggi della musica (non su carta o dai libri, ma attraverso intuito e perspicacia) non può scrivere musica”.
Quest’anno cade il centenario della nascita di Sergiu Celibidache, mi piacerebbe se le varie manifestazioni che gli saranno dedicate potessero aprirsi con il crepitio di questo vecchio disco fantasma e delle sue canzoni sciocche.
[1] Sergiu Celibidache, scrisori către Eugen Trancu-Iaşi a cura di Fabian Anton, Cluj-Napoca, Eikon 2003.
[2] Petru Cormanescu (Iași, 23 novembre 1905 – București 27 novembre 1970) è stato un saggista, scrittore e un noto anglista nella Romania interbellica. I ricordi relativi all’amicizia con Celibidache si trovano nell’articolo Cariera excepţională a lui Sergiu Celibidache, pubblicato in Timpul il 9 novembre 1945 e nel volume Chipurile şi priveliştile Europei, Cluj 1988, entrambi riprodotti in addenda alla raccolta epistolare.
[3] Il ricordo è contenuto nel libro di Alexandru Baciu, Din amintirile unei secretar de redacție, Bucarest, 1997.
[4] Il ricordo appartiene a Lucia Dem. Bălăceanu.
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Il Jazz di Sergiu Celibidache
Published 5 marzo, 2012 ARTE & co. , LUOGHI , PERSONAGGI , ROMANIA 2 CommentsTag:Bucarest, Centenario Celibidache, Duke Elligton, Eugen Trancu-Iasi, Jazz, Petru Comarnescu, Sergiu Celibidache